EX ILVA DI TARANTO

Di Maio ad Arcelor: «Rispettate gli accordi»

I sindacati respingono la richiesta della Cassa integrazione ordinaria L’ azienda: ripresa dopo 13 settimane ma non è esclusa la proroga Il dossier ArcelorMittal Italia, l’azienda che ha acquisito l’Ilva dall’amministrazione straordinaria, torna al Mise a meno di un anno dall’accordo sul passaggio. I sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm respingono la richiesta di cassa integrazione ordinaria che l’azienda ha avanzato, dall’1 luglio e per 13 settimane, per 1395 addetti dello stabilimento di Taranto e chiedono al Mise, garante dell’accordo, di convocare un vertice. E il ministro Luigi Di Maio annuncia un tavolo per la prossima settimana: «Sono stufo di aziende che firmano gli accordi e poi non vi tengono fede – ha detto Di Maio -. La prossima settimana ci vedremo, è già fissato un tavolo, devono tenere fede agli accordi» riferendosi anche al caso Whirlpool.

L’Usb va oltre e chiede al Governo “di annullare e revocare l’accordo” per inadempienza del gestore. ArcelorMittal Italia ha detto che la cassa integrazione è temporanea ma il mercato, intanto, è in forte crisi: ci sono già tagli produttivi in Spagna, Polonia, Francia e Germania. L’azienda ritiene possibile una ripresa della domanda dopo le 13 settimane. Tuttavia non esclude la proroga della cassa se dovesse esserci necessità. Ci sarà, si spiega, una “progressiva e temporanea fermata totale o riduzione della marcia in taluni impianti quali la colata continua 5 (Area Primary), il treno nastri 1 e il laminatoio a freddo (Area Finishing) e delle aree funzionali alla marcia degli stessi impianti quali le officine centrali di manutenzione, staff, utilities e logistica”. La cassa integrazione riguarderà 564 addetti dell’Area Primary, 707 dell’Area Finishing e 124 dell’Area Others. Per l’azienda, «le cause che inducono alla richiesta di intervento dell’ammortizzatore sono riconducibili al progressivo deteriorarsi degli indicatori del mercato manifatturiero, circostanza che ha determinato negli operatori economici scelte di investimento inferiori ai livelli medi attesi, con conseguente calo degli ordini dei beni prodotti dall’unita produttiva di Taranto in misura eccedente le ordinarie oscillazioni congiunturali». Per ArcelorMittal, «l’attività di impresa nel settore dell’acciaio è allo stato fortemente influenzata da una situazione economica globale stagnante».

Fim, Fiom e Uilm contestano però all’azienda l’improvviso cambio di scenario in un mese. Il 6 maggio, affermano i sindacalisti, pur annunciando i tagli in Europa, l’ad Matthieu Jehl disse che a Taranto non ci sarebbero stati contraccolpi occupazionali. Solo un riposizionamento dal 2019 al 2020 dell’obiettivo 6 milioni di tonnellate di produzione. Il 5 giugno, invece, proseguono i  sindacalisti, ArcelorMittal annuncia la cassa ordinaria a zero ore a Taranto per 1395 lavoratori (numero massimo di addetti per giornata di lavoro), i quali si aggiungono ai 1.600 di Ilva in  amministrazione straordinaria che da novembre sono già in cassa straordinaria sempre a zero ore. In totale, quindi, si va verso 3.200 persone sospese dal lavoro. «Procedura irrituale, con l’annuncio a poche ore dal nostro incontro, ma soprattutto non ci convince il cambio radicale nell’impostazione di ArcelorMittal nel giro di un mese» afferma Antonio Talò, segretario Uilm. «Non
ci sia nessun rallentamento degli investimenti ambientali e industriali» chiede Biagio Prisciano, segretario Fim Cisl, per il quale i sindacati «non possono accettare la cassa integrazione con una semplice adesione al documento aziendale senza prima capire che cosa sta succedendo e cosa si rischia a Taranto». La Fiom Cgil, con Francesco Brigati, vede nell’avvio della cassa un “segnale” dell’azienda al Governo che ha avviato il riesame dell’Aia puntando a prescrizioni ambientali più rigide. «Non vorremmo – dice Brigati – che si usasse il ricorso alla cassa come mezzo di pressione perché è chiaro che tra immunità penale ed Aia lo scenario normativo per ArcelorMittal sta cambiando». «Ma noi siamo disponibilissimi a reincontrare i sindacati ed entrare nel merito – spiegano
fonti aziendali -. In ogni caso, la nostra volontà di investire a Taranto 2,4 miliardi tra parte ambientale e industriale non è assolutamente in discussione». Il riesame dell’Aia avviato dal ministro Sergio Costa accoglie intanto una richiesta del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ed è motivato con ragioni di carattere sanitario e di tutela della salute pubblica. A tal proposito l’Istituto Superiore di Sanità ha reso noto l’aggiornamento dello studio “Sentieri” ed emerge che in un periodo di 14 anni, dal 2002 al 2015, sono stati osservati 600 nati con malformazioni congenite su 25.853 nati da donne residenti a Taranto e Statte. Il tasso di malformazioni risulta superiore del 9 per cento rispetto ai dati attesi attesi sulla base del tasso regionale. In sostanza, 50 casi in eccesso, una media di 3-4 casi in più ogni anno. Gli eccessi ritenuti staticamente significativi sono emersi per le anomalie del sistema nervoso e degli arti, e, ai limiti della significatività statistica, per quelle del sistema urinario. Infine, l’aggiornamento dello studio dice che a Taranto si muore di più, prevalentemente per tumore al polmone, mesotelioma e malattie respiratorie, e ci si ammala di più di tumore.

Domenico Palmiotti
Fonte: Il Sole 24Ore