Sale a 600 milioni di euro la bolletta energetica con Eni fra i creditori

Ex Ilva, altra fumata nera dall’assemblea dei soci sulla ricapitalizzazione
Sale a 600 milioni di euro la bolletta energetica con Eni fra i creditori

Ancora nulla di fatto nella trattativa su Acciaierie d’Italia, ex Ilva, tra ArcelorMittal (socio privato di maggioranza) e Invitalia (socio privato di minoranza). Nell’assemblea di ieri, le parti hanno deciso per un aggiornamento al 16 dicembre. Il Governo, come ha dichiarato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, è disponibile a ricapitalizzare l’azienda sino ad un miliardo utilizzando le risorse del dl Aiuti Bis. L’Esecutivo vuole intervenire in anticipo rispetto a maggio 2024, data concordata tra le parti lo scorso maggio a seguito del rinvio del closing dell’operazione che nel 2021 ha portato Invitalia nell’ex Ilva. Ma chiede che anche Mittal faccia la sua parte e ricapitalizzi l’azienda. Sistemato quest’aspetto, si affronterebbe il nodo della governance, che per Urso va riequilibrata considerato che lo Stato nell’azienda al momento non c’è. Spingere Mittal a mettere risorse si sta però rivelando più complicato del previsto. Il socio privato sostiene di essere già intervenuto nel tempo per l’ex Ilva mentre lo Stato ha fatto mancare l’apporto promesso.

Che l’assemblea di ieri potesse essere nuovamente interlocutoria, anche se proseguono le trattative tra le parti, era già emerso dopo la seduta del 6 dicembre, penultima convocazione. Evidentemente non si è ancora nella fase decisiva del negoziato. Già in altre occasioni le trattative con Mittal si sono rivelate molto complesse. Prima di arrivare all’accordo di settembre 2018, quello che dal novembre successivo portò la multinazionale a subentrare a Ilva in amministrazione straordinaria, ci volle quasi un anno di incontri, rammentano i sindacati. E quando Mittal a novembre 2019 avviò la rescissione del contratto dopo la soppressione dello scudo penale da parte del Parlamento, il negoziato per chiudere il contenzioso è durato sino ai primi di marzo 2020. Così come la scorsa primavera ci sono volute settimane prima di accordarsi sullo slittamento a maggio 2024.

Di assemblea in assemblea, va intanto delusa a Taranto l’aspettativa di una svolta da parte di sindacati e imprese. La fabbrica continua a vivere giorni molto difficili. La bolletta energetica, che annovera creditori importanti come Eni, è nel frattempo salita a 600 milioni secondo le ultime valutazioni. In più c’é tutto il tema della produzione, schiacciata verso il basso, con un 2022 che si chiuderà con circa 3 milioni di tonnellate. Da luglio è fermo l’altoforno 2 e la marcia dei due restanti altoforni, l’1 e il 4, viene spesso alternata. Le due acciaierie sono in funzione ma entrambe vanno con un solo convertitore e quindi a passo ridotto. Resta infine in forte affanno l’indotto, tra sospensione degli ordini (mai revocata dall’ex Ilva nonostante l’invito di Urso) e mancati pagamenti del committente. Nelle ultime settimane non c’è stato giorno che ai sindacati non siano arrivate richieste di cassa integrazione ordinaria da parte delle imprese per tutta la forza lavoro. Sinora si calcolano almeno una trentina di richieste di cassa. A questo si aggiunge la preoccupazione per gli stipendi di novembre e le tredicesime ormai imminenti. Già con le retribuzioni di ottobre in pagamento a novembre, molte aziende hanno dato solo acconti. Cosa che si potrebbe ripetere adesso. Ed è fondato il rischio che la tredicesima venga fatta slittare.

Fonte: Il Sole 24 Ore