Ex Ilva, è allarme sulle risorse La produzione scende ai minimi
Necessari 5,5 miliardi di euro per il piano che fa leva sulla decarbonizzazione
Per il 2023 annunciate 4 milioni di tonnellate ma ci si fermerà a 3 milioni
Accantonata, invece, l’ipotesi di portare lo Stato in maggioranza in AdI come avrebbe voluto fare il ministro Adolfo Urso. Il nuovo patto, che lascia la maggioranza a Mittal, deve però anzitutto misurarsi con l’effettiva volontà del privato di investire insieme allo Stato. E su questo ci sono evidenti difficoltà che il Governo sta cercando di affrontare. Sorge nel frattempo un giallo. Ieri i senatori Pd Francesco Boccia e Antonio Misiani hanno rilanciato su un accordo preliminare da oltre 2 miliardi che l’Esecutivo avrebbe fatto con Mittal. Il Governo ha però smentito al tavolo ogni intesa.
In prospettiva, se si deve realizzare il piano presentato l’anno scorso, che fa leva soprattutto sulla decarbonizzazione e ha un orizzonte temporale di 10 anni, servono 5,5 miliardi. Nell’immediato, invece, bisogna ricollocare altrove il miliardo tolto dal Pnrr (aggiuntivo rispetto ai 5,5) che serve a Dri d’Italia per costruire l’impianto del preridotto di ferro necessario ad alimentare i futuri forni elettrici al posto degli altoforni. E bisognerà capire se Franco Bernabè, che ha messo il suo mandato nelle mani del Governo dopo aver denunciato la crisi della società, resterà presidente di AdI oppure si dimetterà formalmente.
Alcuni dati, intanto, rivelano la stasi della fabbrica. A fronte di un’autorizzazione per 6 milioni di tonnellate, la produzione di acciaio solido è stata di 3,471 milioni di tonnellate nel 2022; 4,053 nel 2021 e 3,421 nel 2020. Quest’anno erano stati annunciati 4 milioni di tonnellate ma si resterà intorno ai 3 milioni. Inoltre, funzionano due altiforni su tre (l’1 è inattivo da agosto e doveva restare fermo per un mese), un’acciaieria su due, la cassa integrazione coinvolge 2.500 addetti su 8.200 e va avanti interrottamente, con varie modalità, da luglio 2019. Inoltre, ci sono impianti fermi, l’indotto è in arretrato di pagamenti, la fornitura del gas è assicurata in default, su provvedimento dell’Arera del 7 settembre, sino al 30 settembre (ma dovrebbe essere prorogata come già accaduto nel 2022) e i sindacati denunciano mancate manutenzioni che impattano sulla sicurezza.
Un quadro critico. Ma ieri a Taranto con l’evento, riuscito, Steel Commitment 2023 che ha richiamato oltre 500 clienti, l’azienda ha parlato di futuro. Ha presentato i prodotti e l’evoluzione dell’acciaio, gli interventi ambientali effettuati (l’azienda dichiara di aver investito circa 2 miliardi di euro negli ultimi anni), la struttura commerciale, i nuovi listini da gennaio prossimo e la Technical Academy, una scuola di formazione specialistica rivolta ai laureati migliori nelle discipline Stem che si unisce al centro di ricerche e a quello di formazione. Era presente l’ad Lucia Morselli.
«Il governo ancora non ha scelto qual è la strategia da utilizzare su Ilva», afferma il segretario generale Uil, Pierpaolo Bombardieri dicendosi «preoccupato» per le sorti dell’acciaieria. «Continuiamo a pretendere non sfilate, ma soluzioni concrete», dichiara dal canto suo il segretario della Cgil Maurizio Landini.
E mentre l’azienda presentava i suoi piani ai clienti, in fabbrica c’erano 24 ore di sciopero indette da Fim, Fiom e Uilm. I sindacati parlano di protesta riuscita. Fonti dell’azienda stimano tra il 10 e il 20%, in media, l’adesione nel primo e secondo turno. «Con i presidi ai varchi di accesso e alle portinerie abbiamo raccontato la verità sull’ex Ilva. In fabbrica si consumava una farsa, noi abbiamo raccontato di uno stabilimento che volge alla chiusura», commenta Davide Sperti della Uilm. «Non si può presentare un’Ilva diversa da quella che vivono i lavoratori. La gente non ce la fa più, tra appalto e indotto stiamo finendo gli ammortizzatori sociali», aggiunge Biagio Prisciano della Fim Cisl, mentre Francesco Brigati, della Fiom Cgil, dice che «abbiamo messo in imbarazzo i clienti che l’azienda ha fatto venire. Non volevamo ostacolarli, anzi abbiamo necessità che ci siano clienti e fornitori, ma mandare un messaggio chiaro, ovvero che la realtà di Acciaierie d’Italia non é quella che rappresenta il suo amministratore delegato».