Ex Ilva: imprese al Governo «Priorità al ristoro crediti»

L’allarme dei sindacati e dell’indotto: «C’è il rischio di licenziamenti collettivi »

Il 2 febbraio le ispezioni dei Commissari Ilva in Acciaierie per le verifiche sugli impianti

La crisi di Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, potrebbe subire un’accelerazione e misurarsi, oltre che con la nuova cassa integrazione, anche con i licenziamenti collettivi del personale delle imprese dell’indotto. «È un’ipotesi che abbiamo già discusso nella nostra assemblea e saremmo costretti ad attuarla qualora la situazione precipitasse» annuncia Fabio Greco, presidente di Aigi, l’associazione dell’indotto, aprendo ieri alla commissione Industria del Senato le audizioni sul nuovo decreto legge del Governo.

E anche Rocco Palombella, della Uilm, mette in guardia i senatori sul nuovo, possibile rischio. Mentre sul fronte societario, la richiesta ispezione in fabbrica a Taranto da parte dell’amministrazione straordinaria potrebbe cominciare già venerdì o lunedì prossimo. Attualmente se ne sta pianificando l’organizzazione. Infatti, dopo la lettera di venerdì scorso dei commissari di Ilva in amministrazione straordinaria, si è aperto un dialogo tra Acciaierie, destinataria della lettera che chiedeva notizie sullo stato degli impianti, e la stessa amministrazione straordinaria, che ha la proprietà degli stabilimenti. «Non si stanno allungando i tempi, quello che ci preoccupa in questa fase è che non siano pregiudicati gli impianti» dice il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, che conferma per il 6 febbraio la scadenza dei 15 giorni entro i quali Acciaierie è chiamata a rispondere a Invitalia, azionista pubblico di minoranza, sull’amministrazione straordinaria.

Invece nell’audizione in Senato i punti fermi emersi (ascoltati Aigi, Confindustria Taranto, sindacati, commissari di Ilva, sindaco di Taranto e in serata il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano) sono varie misure correttive al decreto, massima tutela ai crediti dell’indotto, potenziamento anche economico della cassa integrazione, aumento della provvista finanziaria che ora il dl esprime in 320 milioni.

L’ultima stima complessiva portata al Senato sui crediti dell’indotto vede 128 milioni diretti con Acciaierie e 19 milioni ceduti a Banca Ifis. «Taranto non può permettersi che lo stabilimento chiuda e che i crediti dell’indotto non siano ristorati, altrimenti tante imprese salteranno» avverte Salvatore Toma, presidente di Confindustria Taranto. «Nel caso in cui si arrivi all’amministrazione straordinaria, proponiamo che nel decreto si preveda la cartolarizzazione – suggerisce Toma -. Con la procedura avviata, diventa infatti problematico pagare le fatture dell’indotto. Chiediamo poi di capire come si possa dare continuità al siderurgico per evitarne la fermata ma anche come contribuire al cambio di management». I crediti maturati siano pagati «direttamente prima della dichiarazione di amministrazione straordinaria», sollecita Greco di Aigi.

La gravità della crisi dell’ex Ilva, con i tanti impianti inattivi, è richiamata da Rocco Palombella della Uilm e Michele De Palma della Fiom Cgil, intervenuti insieme ai rappresentanti di Cisl, Usb e Ugl. Palombella chiede che la nuova cassa integrazione per gli addetti di Acciaierie sia rafforzata economicamente sulla scorta del modello della cassa per il personale dell’amministrazione straordinaria, che percepisce una maggiorazione del 10 per cento, mentre De Palma propone l’incremento dei 320 milioni postati nel dl per assicurare che la continuità aziendale sia anche produttiva. Sul futuro della fabbrica, Confindustria Taranto ribadisce: deve essere decarbonizzata. Ma i sindacati puntualizzano: si deve passare gradualmente dall’altoforno al forno elettrico. E il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci: «Davanti abbiamo un solo scenario, un’Ilva più piccola, più moderna, più sicura. Non siamo più in grado di produrre oltre 6 milioni di tonnellate di acciaio perché l’impatto sulla salute é imponente. Lo dicono studi certificati. E allora se vogliamo il rilancio, non possiamo fare altro che chiudere le fonti inquinanti e riconvertire radicalmente lo stabilimento».

Fonte: Il Sole 24 Ore