TARANTO
La Corte d’Assise di Taranto tiene sostanzialmente ferme le richieste di condanna avanzate dai Pm per gli imputati (in tutto 47) del processo “Ambiente Svenduto” relativo ai reati di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro contestati alla gestione Riva. E così condanna a 22 anni di reclusione Fabio Riva e a 20 anni il fratello Nicola, che, oltre ad essere stati proprietari della fabbrica siderurgica, in tempi diversi ne sono stati anche amministratori (28 anni e 25 anni avevano chiesto rispettivamente i pm per i due figli dello scomparso Emilio Riva). Sui Riva pendono i capi di imputazione più pesanti. Resta ferma, poi, la confisca degli impianti dell’area a caldo, il cuore produttivo del siderurgico, così come l’accusa aveva chiesto. Inoltre la Corte condanna a 3 anni e sei mesi l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, attribuendogli (concussione aggravata) pressioni su Arpa Puglia, indotte da Ilva, affinché sull’acciaieria assumesse una linea meno drastica. Condanne importanti anche per alcuni degli attuali dirigenti di Acciaierie d’Italia ma alle dipendenze dei Riva anni fa: Angelo Cavallo a 11 anni e 6 mesi (17 anni la richiesta), Marco Andelmi a 11 anni e 6 mesi (17 chiesti), Ivan Di Maggio a 17 anni (analoga richiesta). Hanno poi ottenuto pene di 17 anni gli ex dirigenti di fabbrica Salvatore De Felice e Salvatore D’Aló. E ancora, 21 anni di reclusione inflitti a Luigi Capogrosso, ex direttore a Taranto, e 21 anni e 6 mesi, a fronte di una richiesta di 28, per Girolamo Archinà, consulente dei Riva per i rapporti istituzionali, definito dai pm la “longa manus” verso la politica e le istituzioni. Capogrosso e Archinà sono, al pari dei Riva, tra gli imputati principali. Condannato a 3 anni l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido.
Linea dura anche per i fiduciari dei Riva. Erano consulenti, ma per l’accusa in grado di pesare moltissimo nella gestione e nell’organizzazione dello stabilimento. Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli e Agostino Pastorino sono stati condannati tutti a 18 anni e 6 mesi di reclusione. Diciassette anni e 6 mesi, invece, per Enrico Bessone. Venti anni a testa era stata la richiesta dei pm nei loro confronti. Inoltre, 15 anni e 6 mesi inflitti a Lorenzo Liberti, ex consulente della Procura, che per l’accusa avrebbe intascato una tangente dai Riva (10mila euro) per falsificare il contenuto di una relazione sulla fabbrica. Spiccano nel lunghissimo dispositivo di sentenza (83 pagine), tanto che la presidente della Corte, Stefania D’Errico, ha avuto bisogno di un’ora e quaranta minuti per leggerlo, la riduzione della pena per Adolfo Buffo, ex direttore di stabilimento con i Riva e ora direttore generale di Acciaierie d’Italia con l’ad Lucia Morselli. Avevano chiesto per lui 20 anni, ne ha ottenuti 4. Esce assolto, invece, l’ex presidente Ilva, nonché ex prefetto di Milano, Bruno Ferrante. Ed è un’assoluzione che pesa a fronte di una richiesta di condanna a 17 anni. Mentre l’ex dg di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, a fronte della richiesta dei pm di un anno, è condannato a 2. Assennato, accusato di aver negato le pressioni di Vendola su Arpa Puglia, aveva anche rinunciato alla prescrizione per difendere la sua gestione senza cedimenti di Arpa.
Le reazioni. I sindacati auspicano che con la sentenza termini il conflitto salute-lavoro e si metta mano seriamente ai problemi dell’impianto anche se paventano preoccupazioni per la confisca. Il governatore di Puglia, Michele Emiliano, chiede che gli impianti al centro del processo vengano «chiusi per sempre» mentre il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, vede nella confisca «uno spartiacque per i diritti dei cittadini». Per la Luca Perrone, difensore di Fabio Riva, «non c’è alcuna evidenza scientifica che leghi alcun evento di malattia e morte alla popolazione della città. La verità era stata già rivelata, conosciuta, e nessuno ha avvertito l’esigenza di approfondire per cercare di capire. Impugneremo la sentenza».
Fonte: Il SOle 24 Ore