Stangata dal caro energia, l’Europa ferma 14 impianti Stop in Acciaierie di Sicilia

Dal mare del Nord alla Sicilia, si annuncia un inverno rigido per le principali attività siderurgiche europee. L’elenco delle aziende che hanno deciso o stanno programmando fermate alla produzione, più o meno lunghe, continua ad allungarsi giorno dopo giorno. L’ultima realtà in ordine di tempo ad annunciare di essere costretta a sospendere la produzione per i costi della bolletta energetica ormai insostenibili è l’italiana Acciaierie di Sicilia, che già quest’estate aveva dovuto ricorrere allo stop (a giugno e luglio e in via continuativa ad agosto). I costi energetici in aumento pesano direttamente sull’equilibrio dei conti economici, ma impattano anche sulla competitività degli impianti produttivi europei nei confronti degli altri competitor al di fuori del continente. Senza considerare che, in generale, tutta la siderurgia sta soffrendo in questo momento un rallentamento della domanda, a conclusione di un ciclo positivo innescato nel post Covid.

Acciaierie di Sicilia e gli altri

È stata una falsa ripartenza quella dell’impianto siciliano, controllato da Alfa Acciai e unica realtà siderurgica attiva nell’isola. L’estate è stata travagliata, caratterizzata da interruzioni dell’attività nei mesi di giugno e luglio, alle quali è seguita la decisione di sospendere la produzione per tutto il mese di agosto, ricorrendo alla solidarietà per i 250 dipendenti, con conseguenze anche per altri 250 dell’indotto. Pochi giorni dopo il rientro, però, è stata comunicata ai sindacati la necessità di un altro stop, almeno per le prossime due settimane. «L’azienda è in crisi per il caro-energia. Catania e tutta la Sicilia rischiano un nuovo dramma occupazionale e sociale, e il governo continua a non intervenire» scrivono le segreterie territoriali di Uilm e Fiom, sottolineando che in Sicilia e Sardegna i costi dell’energia sono superiori a quelli di altre aree del Paese. Per l’Ugl di Catania «la situazione è ormai oltre il dramma, l’incremento di spese di supera il 200 per cento».

Disparità territoriali a parte, però, l’incremento dei costi energetici sta danneggiando la competitivià di tutte le acciaierie italiane, per le quali sfruttare le fasce orarie più vantaggiose e programmare fermate «spot» rischia di non essere più sufficiente. Cogne acciai speciali, la cui maggioranza è stata recentemente rilevata dalla taiwanese Walsin Lihwa Corporation, ha riavviato l’acciaieria da poco, dopo una decina di giorni di stop a causa del caro energia. E, sempre in Italia, gli addetti ai lavori segnalano stop alla produzione del Gruppo Arvedi (non confermati dall’azienda che preferisce non commentare), mentre Ferriere Nord nei giorni scorsi ha annunciato ai sindacati il ricorso alla cassa integrazione per cautelarsi dalla situazione e fare fronte a eventuali fermate spot nelle prossime settimane. Acciaierie d’Italia, a sua volta, ha comunicato ai sindacati, in agosto, le necessità di fermare l’Afo 2, anche se per ragioni di manutenzione.

ArcelorMittal e l’Europa

E proprio ArcelorMittal, socio di peso nel capitale di Adi insieme a Invitalia, è il principale protagonista della «cura dimagrante» alla quale la siderurgia europea, suo malgrado, è sottoposta in queste settimane. Il ciclo espansivo precedente alla crisi del mar Nero sembra ormai avere esaurito la sua spinta: dall’inizio dell’anno l’output europeo si è gradualmente ridotto e nel mese di luglio la produzione – secondo i dati di Worlsteel association – è stata di 11,7 milioni di tonnellate, il 6,7% in meno rispetto allo stesso mese dell’anno scorso e il 12,2% in meno anno su anno (86 milioni il dato cumulato). La sola ArcelorMittal, come detto, ha tolto o sta togliendo dal mercato, secondo alcune stime riportate dal centro di ricerca Gmk center, 7 milioni di tonnellate di capacità. La somma è ottenuta mettendo in fila le più recenti comunicazioni del Gruppo, che ha rimandato il riavvio del forno elettrico a Sestao, in Spagna e che è intenzionata a spegnere da questo mese uno dei due altiforni nelle Asturie, sempre nella penisola iberica. Sempre entro settembre sarà spento uno dei due altiforni di Brema, in Germania, in parallelo con lo stop su Eisenhüttenstadt (e per restare in Germania, c’è da segnalare lo spegnimento previsto per fine anno dell’impianto di Dri di Amburgo, come diretta conseguenza delle minori necessità produttive). Colpita anche la Francia, con la decisione di fermare due dei tre altiforni di Dunkerque, mentre l’impianto di Varsavia, in Polonia, è ormai ufficialmente fermo da fine luglio. Per quanto riguarda gli altri player europei, in Germania Salzgitter ha rimandato il riavvio di uno dei suoi altiforni, in Repubblica Ceca è fermo uno dei due altiforni di Liberty Steel Ostrava (impianto rilevato proprio da ArcelorMittal nel 2019 a valle dell’operazione sull’ex Ilva), mentre marciano a mezzo servizio (un altoforno acceso su due) sia Us Steel in Slovacchia, sia Hbis in Serbia. Altre interruzioni delle attività sono segnalate da Siderweb, la community di riferimento dell’acciaio italiano: Ferroatlántica, produttore di ferroleghe, ha fermato due forni a tempo indeterminato questa settimana, mentre Megasa rallenterà la produzione in Spagna e Portogallo fino a novembre. In Ungheria, infine, il produttore Dunaferr ha fermato un altoforno da 550mila tonnellate.

Fonte: Il Sole 24 Ore