Taranto, sfida strategica per la difesa e l’industria

Crisi ex Ilva. Scambi crollati: movimentate 21 milioni di tonnellate di merci nel 2011, solo 7,9 nel 2022. Nel porto gran parte della flotta italiana

La crisi dell’ex Ilva non è solo la crisi dell’ex Ilva. Taranto, la cui essenzialità nei cicli industriali della manifattura italiana si è ridotta dall’estate 2012 dei sequestri e degli arresti, resta un caposaldo strategico degli interessi economici e politici, di sicurezza e militari italiani e occidentali nel Mediterraneo.

La dimensione militare e della sicurezza.

La centralità geo-politica e geo-strategica di Taranto è significativa. A Taranto – e a Brindisi e a Grottaglie – operano nel perimetro della sicurezza e della difesa quindicimila addetti, fra militari e civili. Nel porto militare è dislocata la maggior parte della flotta italiana: la portaerei Cavour, il cacciatorpediniere Doria, i pattugliatori polivalenti della classe Thaon di Revel e quattro Fremm (le fregate multimissione). Più il comando dei sommergibili. Più, a Grottaglie, la base per gli aerei e gli elicotteri che vanno imbarcati sulle navi. Inoltre, Taranto è la porta di accesso – logistica – della Nato nel Mediterraneo, con il Soc, il Southern Operation Center, che è il cuore organizzativo dell’alleanza sia per le operazioni di guerra sia per le operazioni di pace. Da questa città, per esempio, sono partiti i soccorsi occidentali subito dopo l’ultimo terribile terremoto in Turchia. Taranto ha storicamente le strutture tecno-industriali valide per la difesa. Non a caso l’Italsider venne situata qui negli anni Sessanta perché, qui, esisteva una tradizione quasi secolare di cantieri, manutenzione, ingegneria navale e leadership militare. Taranto è strategica per l’Europa e per gli Stati Uniti dal Secondo dopoguerra. E lo è tuttora. A condizioni storiche e geopolitiche del tutto mutate.

II profilo commerciale e industriale.

La crisi di Acciaierie d’Italia si riflette sulla discesa vorticosa delle tonnellate di materie prime (le rinfuse solide) movimentate dal porto civile e destinate alla fabbrica. Nel 2011, un anno prima dell’inizio del caos, sono stati movimentate 21,170 milioni di tonnellate, con un aumento del 19,7% sull’anno precedente. Nel 2022, ultimo dato annuale completo disponibile, si è precipitati a 7,944 milioni, con un regresso del 18,7% sul 2021. Cali vistosi anche nel 2023. La tendenza non si è invertita con l’arrivo di Mittal: nel 2019, primo anno della nuova gestione, per le rinfuse -21,6% sull’anno prima. E, tranne nel 2021 quando ci fu +17,9%, cali anche negli anni successivi al 2019.

La decrescita delle materie prime per l’acciaieria ha portato verso il basso i volumi complessivi del porto. Nel 2003, Taranto movimentò 23,412 milioni di tonnellate. Nel 2012, scese a 21,254 milioni e nel 2015 a 13,081. Anche negli anni successivi la diminuzione per tutte le attività è stata confermata.

«Nel 2023 – spiega Sergio Prete, presidente dell’Autorità portuale – tutte le voci di traffico hanno il segno più ad eccezione di quelle attribuibili all’ex Ilva». Nel 2023, per le rinfuse solide il calo su base annua è del 5,2 per cento. Per le merci varie, in larga parte appunto attribuibili all’Ilva, il calo è del 4,3 per cento.

La nuova logistica.

Il porto civile ha bisogno di spingere i terminal ubicati sul molo polisettoriale. Sono quasi due chilometri di banchina. Nel 2001, dopo decenni di non utilizzo del molo polisettoriale, arrivò Evergreen. Partì il terminal container e l’attività prese a girare. Nel 2012, con la prima crisi dell’Ilva, fu firmato un accordo che prevedeva il dragaggio dei fondali. Questo per avere fondali più profondi e fare così arrivare navi più grandi. Ma quel dragaggio rimase incagliato e nel 2015 Evergreen lasciò Taranto. Per cinque anni, il terminal è stato fermo. Fuori mercato. Nel 2019 spunta il gruppo turco Yilport, che controlla la compagnia CMA CGM. Yilport ottiene la concessione e parte nell’estate del 2020. Ma i risultati rimangono modesti, al di sotto delle aspettative, lontani dagli obiettivi della concessione e inferiori alla potenzialità. Con Yilport a febbraio l’Authority verificherà piani e prospettive.

II combinato disposto.

Per tutte queste ragioni, che si intersecano e si sovrappongono, esiste una dimensione strategica rilevante in qualunque cosa accada a Taranto. Una società cinese rileva una partecipazione in una società che ha un appalto nel porto civile? Qualcuno si allarma. Quando nel 2020 la turca Yilport ottiene la concessione dei terminal, subito vengono considerati i suoi rapporti con gli Stati Uniti, dove ha grossi interessi. Ogni volta che sulla disastrata scena dell’ex Ilva compare un gruppo straniero, si compie – in maniera necessaria e ragionevole – l’analisi del sangue dei proprietari (indiani, francesi, ucraini). Taranto non è solo Taranto. L’ex Ilva non è solo l’ex Ilva.

Paolo Bricco e Domenico Palmiotti
Fonte: Il Sole 24 Ore