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Merci, corsia ultra veloce tra Gioia Tauro e Bologna

Merci, corsia ultra veloce tra Gioia Tauro e Bologna

Un fast corridor ferroviario collegherà il porto marittimo con l’interporto emiliano

Promotore è la Medlog Italia (Msc) assieme a Medway Italia e Ferrotramvia

Nasce un fast corridor (corridoio veloce) ferroviario tra il porto marittimo di Gioia Tauro, in Calabria e l’interporto di Bologna. Ne dà notizia l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli (Adm). Nell’operazione risultano coinvolti operatori di primo piano. Il gestore del viaggio è la società Medlog Italia, di proprietà del gruppo Msc di Gianluigi Aponte, tra i leader mondiali nel trasporto marittimo di container. Medlog Italia si avvale di due imprese ferroviarie: Medway Italia, cioè la compagnia ferroviaria del gruppo Msc e Ferrotramvia. La tratta ferroviaria parte dal nodo logistico portuale gestito dalla società Medcenter container terminal (sempre del gruppo Msc) e termina presso il nodo logistico di destinazione della società Terminali Italia (Gruppo Fs). Il corridoio è lungo oltre mille chilometri.

Fast corridor: Italia apripista

Grazie all’utilizzo dei fast corridor è possibile trasferire la merce di origine extra Ue ed espletare le procedure doganali di importazione presso un nodo logistico di destino (in questo caso Bologna) differente dal porto di entrata della merce (in questo caso Gioia Tauro). La procedura permette di evitare eventuali colli di bottiglia legati alla congestione delle banchine portuali, spostando l’ufficio presso il quale avviene il disbrigo delle operazioni doganali. In definitiva, i fast corridor migliorano l’efficienza e la rapidità del processo logistico, facilitando le operazioni doganali e velocizzando il trasferimento della merce verso la destinazione finale.

Maurizio De Rosa, national project manager dei fast corridor in servizio presso la direzione organizzazione e digital tranformation dell’Agenzia delle Dogane, riassume al Sole 24 Ore i punti salienti della procedura: «L’Italia è stata apripista tra i paesi dell’Unione europea nella creazione dei fast corridor, attivati sin dal 2015. Ad oggi, nessun altro Paese della Ue riproduce un modello così efficiente e performante. Adm ha investito importanti risorse per digitalizzare le proprie procedure ed è sempre in prima linea nelle attività pilota della Ue. I fast corridor possono essere stradali, ferroviari o multimodali, e prevedono la tracciabilità della merce in movimento attraverso il rilevamento della posizione dei vettori, grazie alle piattaforme di monitoraggio. Tutte le eventuali anomalie riscontrate durante il percorso generano degli alert, che sono inviati ai soggetti preposti al controllo. È dunque sempre possibile – aggiunge De Rosa – verificare in tempo reale il punto esatto in cui si trova la merce, conoscere in anticipo il suo arrivo e organizzare le operazioni logistiche connesse».

Commenta Federico Pittaluga, amministratore delegato di Medlog Italia/Medway Italia: «Senza il contributo decisivo dell’Agenzia delle dogane non sarebbe stato possibile realizzare un’iniziativa così strategica. Oggi, su Gioia Tauro, incide un network ferroviario radiale da/per Nola, Bari, Bologna e Padova. Entro fine anno prevediamo di effettuare 600 treni da Gioia Tauro, movimentando complessivamente via ferro circa 26mila teu. L’obiettivo del 2023 è salire a circa mille treni, ampliando così il ruolo dello scalo calabrese da piattaforma di transhipment a porto di arrivo e partenza caratterizzato da potenzialità di sviluppo logistico molto importanti».

Una spinta all’intermodalità

I fast corridor rappresentano il fiore all’occhiello dell’Agenzia delle dogane, perché garantiscono piena interoperabilità degli attori coinvolti nella catena di approvvigionamento delle merci. Il fast corridor consente di prolungare virtualmente la banchina del porto a migliaia di chilometri di distanza. I vantaggi sono inestimabili: il processo è interamente digitale; nessuna procedura è cartacea; tutti i servizi informatici sono forniti da Adm e sono integrabili con quelli aziendali. Osserva De Rosa: «Nel caso di Gioia Tauro, siamo in presenza di un accordo particolarmente rilevante, perché è il primo fast corridor che interessa un porto del Mezzogiorno e il più lungo finora mai attivato».

L’accordo Gioia Tauro-Bologna esalta il concetto di intermodalità perseguito dal governo, cioè promuovere il trasporto della merce con modalità più sostenibili (in questo caso: nave+treno). Dice Pittaluga: «Grazie a questa nuova importante tratta, che rafforza ulteriormente la leadership del porto di Gioia Tauro a livello italiano e Mediterraneo, permetteremo alla merce di arrivare a destinazione in modo rapido e controllato, rendendo sempre più competitivo il trasporto intermodale». L’accordo potenzia anche l’attenzione su una delle attività fondamentali dell’Agenzia: il contrasto all’illecito, che può contare su sistemi sempre più evoluti e traccianti.

A oggi, sul territorio nazionale sono attivi 22 fast corridor, 15 ferroviari e 7 su strada, coprono una rete di oltre 5mila chilometri e movimentano circa 20mila container all’anno, con previsione di forte espansione. I fast corridor ferroviari coinvolgono i porti di Genova, La Spezia e Ravenna con i terminal interni di Rivalta Scrivia, Melzo, Padova, Rubiera, Marzaglia e Bologna. Ora si aggiunge Gioia Tauro.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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Stangata dal caro energia, l’Europa ferma 14 impianti Stop in Acciaierie di Sicilia

Stangata dal caro energia, l’Europa ferma 14 impianti Stop in Acciaierie di Sicilia

Dal mare del Nord alla Sicilia, si annuncia un inverno rigido per le principali attività siderurgiche europee. L’elenco delle aziende che hanno deciso o stanno programmando fermate alla produzione, più o meno lunghe, continua ad allungarsi giorno dopo giorno. L’ultima realtà in ordine di tempo ad annunciare di essere costretta a sospendere la produzione per i costi della bolletta energetica ormai insostenibili è l’italiana Acciaierie di Sicilia, che già quest’estate aveva dovuto ricorrere allo stop (a giugno e luglio e in via continuativa ad agosto). I costi energetici in aumento pesano direttamente sull’equilibrio dei conti economici, ma impattano anche sulla competitività degli impianti produttivi europei nei confronti degli altri competitor al di fuori del continente. Senza considerare che, in generale, tutta la siderurgia sta soffrendo in questo momento un rallentamento della domanda, a conclusione di un ciclo positivo innescato nel post Covid.

Acciaierie di Sicilia e gli altri

È stata una falsa ripartenza quella dell’impianto siciliano, controllato da Alfa Acciai e unica realtà siderurgica attiva nell’isola. L’estate è stata travagliata, caratterizzata da interruzioni dell’attività nei mesi di giugno e luglio, alle quali è seguita la decisione di sospendere la produzione per tutto il mese di agosto, ricorrendo alla solidarietà per i 250 dipendenti, con conseguenze anche per altri 250 dell’indotto. Pochi giorni dopo il rientro, però, è stata comunicata ai sindacati la necessità di un altro stop, almeno per le prossime due settimane. «L’azienda è in crisi per il caro-energia. Catania e tutta la Sicilia rischiano un nuovo dramma occupazionale e sociale, e il governo continua a non intervenire» scrivono le segreterie territoriali di Uilm e Fiom, sottolineando che in Sicilia e Sardegna i costi dell’energia sono superiori a quelli di altre aree del Paese. Per l’Ugl di Catania «la situazione è ormai oltre il dramma, l’incremento di spese di supera il 200 per cento».

Disparità territoriali a parte, però, l’incremento dei costi energetici sta danneggiando la competitivià di tutte le acciaierie italiane, per le quali sfruttare le fasce orarie più vantaggiose e programmare fermate «spot» rischia di non essere più sufficiente. Cogne acciai speciali, la cui maggioranza è stata recentemente rilevata dalla taiwanese Walsin Lihwa Corporation, ha riavviato l’acciaieria da poco, dopo una decina di giorni di stop a causa del caro energia. E, sempre in Italia, gli addetti ai lavori segnalano stop alla produzione del Gruppo Arvedi (non confermati dall’azienda che preferisce non commentare), mentre Ferriere Nord nei giorni scorsi ha annunciato ai sindacati il ricorso alla cassa integrazione per cautelarsi dalla situazione e fare fronte a eventuali fermate spot nelle prossime settimane. Acciaierie d’Italia, a sua volta, ha comunicato ai sindacati, in agosto, le necessità di fermare l’Afo 2, anche se per ragioni di manutenzione.

ArcelorMittal e l’Europa

E proprio ArcelorMittal, socio di peso nel capitale di Adi insieme a Invitalia, è il principale protagonista della «cura dimagrante» alla quale la siderurgia europea, suo malgrado, è sottoposta in queste settimane. Il ciclo espansivo precedente alla crisi del mar Nero sembra ormai avere esaurito la sua spinta: dall’inizio dell’anno l’output europeo si è gradualmente ridotto e nel mese di luglio la produzione – secondo i dati di Worlsteel association – è stata di 11,7 milioni di tonnellate, il 6,7% in meno rispetto allo stesso mese dell’anno scorso e il 12,2% in meno anno su anno (86 milioni il dato cumulato). La sola ArcelorMittal, come detto, ha tolto o sta togliendo dal mercato, secondo alcune stime riportate dal centro di ricerca Gmk center, 7 milioni di tonnellate di capacità. La somma è ottenuta mettendo in fila le più recenti comunicazioni del Gruppo, che ha rimandato il riavvio del forno elettrico a Sestao, in Spagna e che è intenzionata a spegnere da questo mese uno dei due altiforni nelle Asturie, sempre nella penisola iberica. Sempre entro settembre sarà spento uno dei due altiforni di Brema, in Germania, in parallelo con lo stop su Eisenhüttenstadt (e per restare in Germania, c’è da segnalare lo spegnimento previsto per fine anno dell’impianto di Dri di Amburgo, come diretta conseguenza delle minori necessità produttive). Colpita anche la Francia, con la decisione di fermare due dei tre altiforni di Dunkerque, mentre l’impianto di Varsavia, in Polonia, è ormai ufficialmente fermo da fine luglio. Per quanto riguarda gli altri player europei, in Germania Salzgitter ha rimandato il riavvio di uno dei suoi altiforni, in Repubblica Ceca è fermo uno dei due altiforni di Liberty Steel Ostrava (impianto rilevato proprio da ArcelorMittal nel 2019 a valle dell’operazione sull’ex Ilva), mentre marciano a mezzo servizio (un altoforno acceso su due) sia Us Steel in Slovacchia, sia Hbis in Serbia. Altre interruzioni delle attività sono segnalate da Siderweb, la community di riferimento dell’acciaio italiano: Ferroatlántica, produttore di ferroleghe, ha fermato due forni a tempo indeterminato questa settimana, mentre Megasa rallenterà la produzione in Spagna e Portogallo fino a novembre. In Ungheria, infine, il produttore Dunaferr ha fermato un altoforno da 550mila tonnellate.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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