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Per l’ex Ilva tempi stretti: la cassa è finita e la produzione langue
Per l’ex Ilva tempi stretti: la cassa è finita e la produzione langue
Indotto e fornitori di nuovo in sofferenza per i mancati o ritardati pagamenti
Non c’è molto tempo per una soluzione alla crisi dell’ex Ilva, Acciaierie d’Italia. Per un’azienda che da 11 anni è in difficoltà, il termine crisi ha ormai assunto un carattere strutturale e forse non fa più nemmeno notizia, tuttavia stavolta la situazione appare più complicata rispetto alle precedenti. Non ci sono soldi in cassa, non si possono comprare le materie prime, la produzione langue e chiuderà l’anno con circa 3 milioni di tonnellate contro i 4 previsti e un’autorizzazione a produrre di 6 milioni. Inoltre, indotto e fornitori sono di nuovo in sofferenza per i mancati o ritardati pagamenti e il 30 settembre è scaduta la proroga di Arera per la fornitura di gas al gruppo col servizio di default. «La fabbrica si sta spegnendo» dicono i sindacati, dove giovedì c’è stato uno sciopero di 24 ore e le sigle metalmeccaniche hanno contrapposto il loro racconto a quello dell’azienda fatto a 500 clienti venuti a Taranto per un evento commerciale. Il Governo ha il dossier ex Ilva in evidenza ma, rispetto ad un anno fa, è cambiata la direzione di marcia. A fine 2022 il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, spingeva per portare lo Stato, attraverso Invitalia, in maggioranza in AdI (60 per cento) e ispirato a questa finalità è stato anche il decreto di inizio anno. Quello che ha sbloccato 680 milioni pubblici e consentito ad AdI, tra l’altro, di saldare il debito accumulato con Eni e Snam sul gas. Un anno dopo – lo ha confermato il vertice del 27 scorso a Palazzo Chigi – il Governo ha messo da parte un ruolo di maggioranza per negoziare un nuovo patto con Mittal. Le leve decisionali sono passate dalle mani di Urso a quelle del ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, che sta trattando con l’ad Lucia Morselli.
Investimenti, risorse, tempi, strategia, gli obiettivi che il negoziato dovrebbe cercare di centrare. E servirà anche un’intesa con Bruxelles. Ma non è facile perché i fondi da mettere in campo sono notevoli, e perché Mittal sinora ha lasciato cadere tutti gli inviti del Governo a presentare un piano industriale di rilancio e ripartenza. La possibilità di usare gli strumenti Fsc, RepowerEU e JTF è quella che il Governo vorrebbe offrire, ma bisogna anzitutto capire se Mittal mette soldi suoi e si fa carico delle sorti dell’azienda. Il Governo deve riposizionare il miliardo tolto dal Pnrr per l’impianto del preridotto di ferro (il semiprodotto da caricare nei futuri forni elettrici per un acciaio decarbonizzato) mentre l’azienda aveva messo in cantiere un piano da 5,5 miliardi in dieci anni per l’elettrificazione che ora necessita risposte. L’attuale linea del Governo è contestata da sindacati e sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Il 74% degli italiani chiede acciaio sostenibile
Il 74% degli italiani chiede acciaio sostenibile
AdI: «Quello prodotto a Taranto rispetta l’ambiente, investiti 2 miliardi»
Il 74% degli intervistati in Italia ritiene molto importante che le aziende pongano attenzione alla sostenibilità ambientale. Lo rivela la ricerca “Il ruolo dell’acciaio nella percezione di sostenibilità dei prodotti manufatturieri”, realizzata per Acciaierie d’Italia dall’istituto di ricerca Swg su un campione di cittadini italiani, tedeschi e spagnoli. «Le risposte sono state simili: è una tendenza europea», spiega Riccardo Grassi, direttore della ricerca di Swg: «Stiamo assistendo alla trasformazione del concetto stesso di sostenibilità: superati i confini dell’ambiente, per il consumatore è diventata sinonimo di attenzione, cura, innovazione, qualità. Questo è significativo in modo particolare per l’acciaio, dove le conoscenze dei processi di produzione sono più deboli ed è più difficile per i consumatori finali, che sono quelli che hanno partecipato alla ricerca, prefigurarsi cosa sia un acciaio sostenibile».
Nel rapporto tra produzione e ambiente, la maggior preoccupazione dei cittadini è per le emissioni, prima di tutto quelle di sostanze inquinanti e poi in subordine per la CO2. La ricerca ha evidenziato come oltre il 40% dei consumatori, a parità di prezzo, preferirebbe prodotti in acciaio sostenibile e il 30% lo sceglierebbe anche se il prezzo fosse più alto. «La propensione a un premium price è rilevante, soprattutto in tempi in cui c’è la tendenza a una riduzione della spesa. In generale, nonostante l’acciaio sostenibile non sia ancora radicato nel consumatore, è presente una forte propensione a fare una scelta in questa direzione. Questo premierà le aziende che per prime saranno in grado di raccontare questo prodotto», commenta ancora Grassi.
«In Italia c’è grande diffidenza quando si parla di sostenibilità, per il fenomeno del green washing. Questo richiede una grande precisione e una credibilità che nasce soprattutto dalla capacità di raccontare un processo di sostenibilità in tutte le fasi della produzione e della filiera», ha aggiunto il direttore della ricerca di Swg.
In questo contesto, e anche con questa consapevolezza, si colloca il marchio Penisola Steel, che definisce e certifica l’acciaio a ridotto impatto ambientale prodotto dallo stabilimento di Taranto di Acciaierie d’Italia, tracciandone l’origine italiana. Il nuovo brand nasce dall’azione di costanti controlli ambientali nell’area tramite una piattaforma di monitoraggio sviluppata in collaborazione con Rina che permette accertamenti su 200 camini, con 50 punti di prelievo delle acque e analisi capillari dei terreni in occasione di interventi specifici.
L’acciaio sostenibile , unito a una rinnovata gamma di prodotti, e al contesto siderurgico, permette ad Acciaierie d’Italia di differenziarsi dai competitor internazionali, in particolare quelli extra-europei, e di condividere questa possibilità a valle con le filiere meccaniche, impiantistiche e infrastrutturali, ha comunicato l’azienda in una nota.
Concluso il Piano Ambientale 2018-2023, per cui sono stati investiti negli ultimi anni circa 2 miliardi di euro, ora Acciaierie d’Italia è pronta a trasferire l’ambientalizzazione dello stabilimento – l’unico in Italia a produrre acciaio primario e il più grande in Europa – ai propri prodotti. A tale operazione hanno dato un contributo significativo gli sviluppi sui fronti di qualità, innovazione, ricerca & sviluppo, ha sottolienato sempre l’azienda. Uno dei progetti in atto è quello della decarbonizzazione attraverso l’ottimizzazione ambientale dell’area a caldo e lo sviluppo di una serie di nuovi impianti energetici, tra cui rigassificatore, desalinizzatore, impianti per la sintesi di gas tecnici, parco eolico offshore e parchi fotovoltaici.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Ex Ilva, è allarme sulle risorse La produzione scende ai minimi
Ex Ilva, è allarme sulle risorse La produzione scende ai minimi
Necessari 5,5 miliardi di euro per il piano che fa leva sulla decarbonizzazione
Per il 2023 annunciate 4 milioni di tonnellate ma ci si fermerà a 3 milioni
Accantonata, invece, l’ipotesi di portare lo Stato in maggioranza in AdI come avrebbe voluto fare il ministro Adolfo Urso. Il nuovo patto, che lascia la maggioranza a Mittal, deve però anzitutto misurarsi con l’effettiva volontà del privato di investire insieme allo Stato. E su questo ci sono evidenti difficoltà che il Governo sta cercando di affrontare. Sorge nel frattempo un giallo. Ieri i senatori Pd Francesco Boccia e Antonio Misiani hanno rilanciato su un accordo preliminare da oltre 2 miliardi che l’Esecutivo avrebbe fatto con Mittal. Il Governo ha però smentito al tavolo ogni intesa.
In prospettiva, se si deve realizzare il piano presentato l’anno scorso, che fa leva soprattutto sulla decarbonizzazione e ha un orizzonte temporale di 10 anni, servono 5,5 miliardi. Nell’immediato, invece, bisogna ricollocare altrove il miliardo tolto dal Pnrr (aggiuntivo rispetto ai 5,5) che serve a Dri d’Italia per costruire l’impianto del preridotto di ferro necessario ad alimentare i futuri forni elettrici al posto degli altoforni. E bisognerà capire se Franco Bernabè, che ha messo il suo mandato nelle mani del Governo dopo aver denunciato la crisi della società, resterà presidente di AdI oppure si dimetterà formalmente.
Alcuni dati, intanto, rivelano la stasi della fabbrica. A fronte di un’autorizzazione per 6 milioni di tonnellate, la produzione di acciaio solido è stata di 3,471 milioni di tonnellate nel 2022; 4,053 nel 2021 e 3,421 nel 2020. Quest’anno erano stati annunciati 4 milioni di tonnellate ma si resterà intorno ai 3 milioni. Inoltre, funzionano due altiforni su tre (l’1 è inattivo da agosto e doveva restare fermo per un mese), un’acciaieria su due, la cassa integrazione coinvolge 2.500 addetti su 8.200 e va avanti interrottamente, con varie modalità, da luglio 2019. Inoltre, ci sono impianti fermi, l’indotto è in arretrato di pagamenti, la fornitura del gas è assicurata in default, su provvedimento dell’Arera del 7 settembre, sino al 30 settembre (ma dovrebbe essere prorogata come già accaduto nel 2022) e i sindacati denunciano mancate manutenzioni che impattano sulla sicurezza.
Un quadro critico. Ma ieri a Taranto con l’evento, riuscito, Steel Commitment 2023 che ha richiamato oltre 500 clienti, l’azienda ha parlato di futuro. Ha presentato i prodotti e l’evoluzione dell’acciaio, gli interventi ambientali effettuati (l’azienda dichiara di aver investito circa 2 miliardi di euro negli ultimi anni), la struttura commerciale, i nuovi listini da gennaio prossimo e la Technical Academy, una scuola di formazione specialistica rivolta ai laureati migliori nelle discipline Stem che si unisce al centro di ricerche e a quello di formazione. Era presente l’ad Lucia Morselli.
«Il governo ancora non ha scelto qual è la strategia da utilizzare su Ilva», afferma il segretario generale Uil, Pierpaolo Bombardieri dicendosi «preoccupato» per le sorti dell’acciaieria. «Continuiamo a pretendere non sfilate, ma soluzioni concrete», dichiara dal canto suo il segretario della Cgil Maurizio Landini.
E mentre l’azienda presentava i suoi piani ai clienti, in fabbrica c’erano 24 ore di sciopero indette da Fim, Fiom e Uilm. I sindacati parlano di protesta riuscita. Fonti dell’azienda stimano tra il 10 e il 20%, in media, l’adesione nel primo e secondo turno. «Con i presidi ai varchi di accesso e alle portinerie abbiamo raccontato la verità sull’ex Ilva. In fabbrica si consumava una farsa, noi abbiamo raccontato di uno stabilimento che volge alla chiusura», commenta Davide Sperti della Uilm. «Non si può presentare un’Ilva diversa da quella che vivono i lavoratori. La gente non ce la fa più, tra appalto e indotto stiamo finendo gli ammortizzatori sociali», aggiunge Biagio Prisciano della Fim Cisl, mentre Francesco Brigati, della Fiom Cgil, dice che «abbiamo messo in imbarazzo i clienti che l’azienda ha fatto venire. Non volevamo ostacolarli, anzi abbiamo necessità che ci siano clienti e fornitori, ma mandare un messaggio chiaro, ovvero che la realtà di Acciaierie d’Italia non é quella che rappresenta il suo amministratore delegato».
Oscillazione Rottame e Leganti – pubblicato l’aggiornamento di Settembre 2023
Abbiamo aggiornato il file Oscillazione rottame e leganti a Settembre 2023. Potete scaricarlo cliccando sull’immagine qui sotto.
Oscillazione Rottame e Leganti – pubblicato l’aggiornamento di Agosto 2023
Abbiamo aggiornato il file Oscillazione rottame e leganti ad Agosto 2023. Potete scaricarlo cliccando sull’immagine qui sotto.