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Ex Ilva, è allarme sulle risorse La produzione scende ai minimi

Ex Ilva, è allarme sulle risorse La produzione scende ai minimi

Necessari 5,5 miliardi di euro per il piano che fa leva sulla decarbonizzazione

Per il 2023 annunciate 4 milioni di tonnellate ma ci si fermerà a 3 milioni

L’ex Ilva è in bilico e la produzione scende ai minimi da 11 anni, da quando gli impianti dell’area a caldo sono stati sequestrati dalla magistratura per i reati ambientali attribuiti alla gestione dei Riva, e in questo lasso di tempo non si è mai risollevata. Adesso, però, Acciaierie d’Italia è sull’orlo del precipizio. Servono altre risorse – dopo che il Governo, con Invitalia, ha erogato 680 milioni nei mesi scorsi – per mandare avanti la fabbrica nel breve periodo in attesa che Arcelor Mittal, azionista di maggioranza, e Governo definiscano un nuovo patto e concordino su risorse, interventi e tempi, che è poi la strada intrapresa con la regia del ministro Raffaele Fitto, come ha confermato il vertice dell’altro ieri a Palazzo Chigi.

Accantonata, invece, l’ipotesi di portare lo Stato in maggioranza in AdI come avrebbe voluto fare il ministro Adolfo Urso. Il nuovo patto, che lascia la maggioranza a Mittal, deve però anzitutto misurarsi con l’effettiva volontà del privato di investire insieme allo Stato. E su questo ci sono evidenti difficoltà che il Governo sta cercando di affrontare. Sorge nel frattempo un giallo. Ieri i senatori Pd Francesco Boccia e Antonio Misiani hanno rilanciato su un accordo preliminare da oltre 2 miliardi che l’Esecutivo avrebbe fatto con Mittal. Il Governo ha però smentito al tavolo ogni intesa.

In prospettiva, se si deve realizzare il piano presentato l’anno scorso, che fa leva soprattutto sulla decarbonizzazione e ha un orizzonte temporale di 10 anni, servono 5,5 miliardi. Nell’immediato, invece, bisogna ricollocare altrove il miliardo tolto dal Pnrr (aggiuntivo rispetto ai 5,5) che serve a Dri d’Italia per costruire l’impianto del preridotto di ferro necessario ad alimentare i futuri forni elettrici al posto degli altoforni. E bisognerà capire se Franco Bernabè, che ha messo il suo mandato nelle mani del Governo dopo aver denunciato la crisi della società, resterà presidente di AdI oppure si dimetterà formalmente.

Alcuni dati, intanto, rivelano la stasi della fabbrica. A fronte di un’autorizzazione per 6 milioni di tonnellate, la produzione di acciaio solido è stata di 3,471 milioni di tonnellate nel 2022; 4,053 nel 2021 e 3,421 nel 2020. Quest’anno erano stati annunciati 4 milioni di tonnellate ma si resterà intorno ai 3 milioni. Inoltre, funzionano due altiforni su tre (l’1 è inattivo da agosto e doveva restare fermo per un mese), un’acciaieria su due, la cassa integrazione coinvolge 2.500 addetti su 8.200 e va avanti interrottamente, con varie modalità, da luglio 2019. Inoltre, ci sono impianti fermi, l’indotto è in arretrato di pagamenti, la fornitura del gas è assicurata in default, su provvedimento dell’Arera del 7 settembre, sino al 30 settembre (ma dovrebbe essere prorogata come già accaduto nel 2022) e i sindacati denunciano mancate manutenzioni che impattano sulla sicurezza.

Un quadro critico. Ma ieri a Taranto con l’evento, riuscito, Steel Commitment 2023 che ha richiamato oltre 500 clienti, l’azienda ha parlato di futuro. Ha presentato i prodotti e l’evoluzione dell’acciaio, gli interventi ambientali effettuati (l’azienda dichiara di aver investito circa 2 miliardi di euro negli ultimi anni), la struttura commerciale, i nuovi listini da gennaio prossimo e la Technical Academy, una scuola di formazione specialistica rivolta ai laureati migliori nelle discipline Stem che si unisce al centro di ricerche e a quello di formazione. Era presente l’ad Lucia Morselli.

«Il governo ancora non ha scelto qual è la strategia da utilizzare su Ilva», afferma il segretario generale Uil, Pierpaolo Bombardieri dicendosi «preoccupato» per le sorti dell’acciaieria. «Continuiamo a pretendere non sfilate, ma soluzioni concrete», dichiara dal canto suo il segretario della Cgil Maurizio Landini.

E mentre l’azienda presentava i suoi piani ai clienti, in fabbrica c’erano 24 ore di sciopero indette da Fim, Fiom e Uilm. I sindacati parlano di protesta riuscita. Fonti dell’azienda stimano tra il 10 e il 20%, in media, l’adesione nel primo e secondo turno. «Con i presidi ai varchi di accesso e alle portinerie abbiamo raccontato la verità sull’ex Ilva. In fabbrica si consumava una farsa, noi abbiamo raccontato di uno stabilimento che volge alla chiusura», commenta Davide Sperti della Uilm. «Non si può presentare un’Ilva diversa da quella che vivono i lavoratori. La gente non ce la fa più, tra appalto e indotto stiamo finendo gli ammortizzatori sociali», aggiunge Biagio Prisciano della Fim Cisl, mentre Francesco Brigati, della Fiom Cgil, dice che «abbiamo messo in imbarazzo i clienti che l’azienda ha fatto venire. Non volevamo ostacolarli, anzi abbiamo necessità che ci siano clienti e fornitori, ma mandare un messaggio chiaro, ovvero che la realtà di Acciaierie d’Italia non é quella che rappresenta il suo amministratore delegato».

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Ex Ilva, parte il cantiere per l’accordo di programma

Ex Ilva, parte il cantiere per l’accordo di programma

Il ministero delle Imprese mette in cantiere l’accordo di programma per l’ex Ilva di Taranto. Ieri primo incontro di merito, presenti il dicastero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, le Regioni Puglia e Liguria, Comune e la Provincia di Taranto. Il Mimit spiega che si è dato «seguito all’impegno che il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva assunto lo scorso 19 gennaio. Nelle prossime settimane saranno avviati i confronti con tutte le parti interessate al fine di raccogliere informazioni utili alla redazione dell’accordo di programma». «Abbiamo detto chiaramente – spiega il sindaco e presidente della Provincia di Taranto, Rinaldo Melucci – che il punto di caduta di quest’accordo dev’essere la decarbonizzazione e la chiusura dell’area a caldo del siderurgico, trovando su questo il consenso dei ministeri». Ma dal Mimit si puntualizza: «Dire che si chiude l’area a caldo, significa non produrre più acciaio. E questo non può essere. La Commissione UE ci chiede la riconversione ed è quella che siamo impegnati a fare».

Sul piano operativo l’orientamento è quello di affidare ad Invitalia, società del Mef e partner pubblico di minoranza di Acciaierie d’Italia, il ruolo di struttura di coordinamento per conto del Governo. Nei prossimi 15 giorni Comune e Provincia di Taranto, confrontandosi con la Regione Puglia, «forniranno al Gabinetto del ministro Adolfo Urso i propri preliminari contributi per le sezioni dell’accordo di propria competenza», puntualizza il Comune. Si istituiranno dei gruppi di lavoro cui demandare l’approfondimento dei vari capitoli dell’accordo: piano industriale dell’ex Ilva, decarbonizzazione, indotto, bonifiche, misure per i lavoratori che risulteranno in esubero con la riconversione produttiva, compensazioni. Melucci dichiara che «c’è ancora molta strada da fare, mettiamo in conto le difficoltà e restiamo aperti al confronto con tutti.

Tuttavia, abbiamo ribadito con chiarezza che siamo intenzionati a sostenere i progetti di riconversione industriale verso i forni elettrici, dunque al compimento dell’accordo di programma va prevista la chiusura dell’area a caldo».

Domenico Palmiotti
Fonte: Il Sole 24 Ore

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