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Piombino, via al rilancio del porto Piano d’investimenti da 200 milioni

Piombino, via al rilancio del porto Piano d’investimenti da 200 milioni

Parte la prima gara per assegnare tre lotti da 170mila mq di banchine
Tra gli investimenti i progetti di Onorato, Jindal e Nuovo Pignone

piombino

Il 9 settembre si avvicina: è la scadenza dell’avviso pubblico che l’Autorità portuale del Mar Tirreno settentrionale ha emanato — con una procedura considerata innovativa nel settore — per chiamare a raccolta gli investitori interessati a insediarsi sulle nuove banchine del porto di Piombino, costruite negli ultimi quattro anni grazie a 200 milioni di finanziamenti pubblici messi da Regione Toscana e Governo.

L’attenzione per la gara è alta, visto che il nuovo bacino di Piombino ha fondali profondi 20 metri, come pochissimi porti italiani hanno, e dunque potrà accogliere le grandi navi. E infatti al sopralluogo previsto dal bando, obbligatorio per poter presentare le manifestazioni di interesse entro il 9 settembre, si sono presentati in 20: aziende italiane e estere, tra cui Bhge-Nuovo Pignone che da tempo ha annunciato la volontà di costruire un polo di assemblaggio dei moduli energetici; l’armatore Vincenzo Onorato, intenzionato a realizzare un polo logistico per auto; gli indiani di Jindal, che vorrebbero potenziare le attività logistiche a servizio dell’acciaieria ex-Lucchini e ex-Aferpi acquisita un anno fa.

In ballo c’è la concessione (per adesso) di 170mila metri quadrati di banchine, divise in tre lotti, che saranno ultimate in accordo con gli investitori selezionati al termine della gara. E in ballo ci sono anche investimenti consistenti: 40 milioni del Nuovo Pignone, 17 di Onorato, 300 annunciati da Jindal.

Per Piombino, secondo polo siderurgico d’Italia dopo Taranto, ferita dalla crisi (e dalle promesse di rilancio) dell’acciaio, è la svolta possibile e attesa da anni.

Il decollo del porto è l’ultima spiaggia altrimenti siamo finiti, dicono nella cittadina toscana che, dopo più di 70 anni di governo di centrosinistra, ha eletto nel giugno scorso il primo sindaco di Fratelli d’Italia, Francesco Ferrari.

La ripartenza dell’acciaieria ex-Lucchini (quasi 2mila addetti), dopo la delusione lasciata dal gruppo algerino Cevital, non si è ancora concretizzata. I sindacati reclamano un cambio di passo da parte del management, le istituzioni locali chiedono a Jindal il piano industriale e al Governo un costo agevolato dell’energia.

Attende il rilancio anche l’altra storica acciaieria, la Magona, passata il 1° luglio dal colosso ArcelorMittal al gruppo inglese Liberty che fa capo a Sanjeev Gupta, che sarà a Piombino il 16 settembre per spiegare il progetto.

Ma a credere nello sviluppo legato all’acciaio a Piombino sono sempre meno. Aumentano coloro che puntano sul porto ingrandito e ammodernato sulla spinta del presidente della Regione Enrico Rossi, che l’ha voluto anche dopo che era svanita la possibilità di smantellare il relitto della Costa Concordia andato a Genova.

La gara per le nuove banchine del porto (che sarà seguita da una seconda per altri 500mila metri quadri) è annunciata come una “rivoluzione” dalla stessa Autorità portuale, anche perché segue i nuovi criteri «oggettivi e trasparenti» che l’ente si è appena dato per valutare i progetti di insediamento: «Per Piombino è una svolta storica — spiega il responsabile del procedimento, Claudio Capuano — entro l’anno sapremo quali sono gli imprenditori in campo e lavoreremo con impegno per assegnare i lotti disponibili a chi crede veramente nello sviluppo dello scalo toscano».

Qualcuno ha già mostrato di crederci. Si tratta di Piombino industrie marittime (Pim), la joint venture al 50% tra la genovese San Giorgio del Porto e la livornese Fratelli Neri che tra poche settimane comincerà l’attività del nuovo polo navale, in via di realizzazione su 100mila metri quadrati di banchine assegnate fin dal 2016: uno dei primi lavori, spiega l’amministratore delegato Valerio Mulas, sarà la demolizione di alcuni cassoni in acciaio che erano serviti a far “rigalleggiare” la Concordia quando fu portata via dall’isola del Giglio. Ma il cantiere piombinese servirà anche per la costruzione di nuove imbarcazioni, per il refitting e per la demolizione “controllata” di navi secondo le nuove regole europee. L’investimento a regime in quattro anni sarà di una quindicina di milioni; già partite le assunzioni, che arriveranno fino a 70-80 addetti.

Silvia Pieraccini

Fonte: Il Sole 24 Ore

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Taranto, pressing del Mise sul decreto per ArcelorMittal

Taranto, pressing del Mise sul decreto per ArcelorMittal

Ieri verifica tecnica con il gruppo indiano e i commissari
Partono i licenziamenti nelle imprese dell’indotto interessate dai tagli

Il Mise spinge per portare a casa il decreto Imprese che per ArcelorMittal introduce l’immunità penale a scadenza, con riferimento al piano ambientale del siderurgico di Taranto, e cancella la data del 6 settembre. Stando al decreto Crescita attualmente in vigore, l’immunità termina infatti tra pochi giorni e questo rischia di provocare l’allontanamento della multinazionale da Taranto. Serve quindi correggere la rotta. Obiettivo del Mise – anche in una congiuntura politica delicata – è che il decreto Imprese, depurato dalle aggiunte fatte su altre misure rispetto al testo varato “salvo intese” dal Cdm, vada a breve al Quirinale per la firma di Mattarella ed essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Decreto e salvaguardia dell’altoforno 2, che il 10 ottobre rischia di spegnersi per il sequestro della Procura, sono anche le priorità attorno alle quali ieri si sono ritrovati al Mise Arcelor Mittal e commissari di Ilva in amministrazione straordinaria.

È stato un confronto tecnico post ferie, nessuna decisione è stata presa sulle questioni aperte, ma le parti si sono date una reciproca consegna: rimettiamoci a lavorare. Il che lascia presumere che c’è lo sforzo di voler riprendere una sintonia ed una linea comune. Intanto, crescono le tensioni nell’indotto-appalto dove alcune aziende stanno lasciando, a scadenza di contratto, il lavoro in ArcelorMittal perché reputano insostenibile il taglio del 40% del costo proposto dalla committente (dato indicato dai sindacati e confermato da Confindustria Taranto). In vista dell’uscita a fine settembre, il gruppo Castiglia ha avviato la procedura di licenziamento per 201 dei 264 dipendenti attualmente impiegati tra pulizie industriali, civili, trasporti e servizi, inquadrati col contratto multiservizi e con quello metalmeccanico-industriale. Inoltre tra settembre e ottobre scadono altri 100 contratti a tempo determinato. A Castiglia, di Massafra (Taranto), dall’1 ottobre subentrano nuove aziende: Alliance Green Service, che fa capo ad ArcelorMittal e si occupa di alcune attività sinora date all’esterno, Ecologica spa (Taranto), Evoluzione Ecologica snc di San Marzano di San Giuseppe (Taranto), Mad srl di Taranto e Sea srl di Trepuzzi (Lecce). Da fonti sindacali si apprende che i licenziamenti riguardano 201 dei 264 perché i 201 sono inquadrati col contratto metalmeccanico mentre 63 con quello multiservizi. E se per questi ultimi c’è la copertura costituita dalla clausola sociale, una garanzia con la quale il lavoratore non perde il posto perché travasato dall’impresa uscente alla subentrante salvando la retribuzione, analogo meccanismo non esiste per chi ha il contratto metalmeccanico. Che viene anzitutto licenziato e se viene riassunto, riparte da zero. L’avvio della procedura di licenziamento ha registrato il mancato accordo tra sindacati e Castiglia. La Fim Cisl afferma che «clausola sociale a parte, chiederà che anche gli addetti con contratto metalmeccanico licenziati per cessata attività, siano presi dalle nuove aziende che entreranno nel siderurgico». Oltre a Castiglia, altre aziende di Taranto sono fuori. Protesta anche la Uilm che ad ArcelorMittal evidenzia quanto «sia imprescindibile garantire la salvaguardia della professionalità di esecuzione delle attività per via dell’elevato grado di complessità esistente in quest’ambito». No, dice la Uilm, ad ogni possibile logica di «svendita di questo settore al migliore offerente con risparmi sulla sicurezza e sul costo dei materiali e del lavoro».

Domenico Palmiotti

Fonte: Il Sole 24 Ore

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L’ultimatum di ArcelorMittal: tutele o chiusura il 6 settembre

L’ultimatum di ArcelorMittal: tutele o chiusura il 6 settembre

Il futuro dell’ex Ilva. L’ad europeo Geert Van Poelvoorde: «Ancora due mesi, poi ci fermiamo» Di Maio: «No a ricatti. Soluzioni possibili. Il 4 luglio incontro con azienda». Salvini: «No allo stop»

Non usa giri di parole, né toni concilianti, Geert Van Poelvoorde, amministratore delegato di ArcelorMittal Europa. A margine della conferenza di Eurofer, esplicita quello che da alcuni giorni era già nell’aria: in assenza di una soluzione al problema della protezione legale, l’ex stabilimento Ilva di Taranto chiuderà il 6 settembre, dal momento che dal giorno dopo sarà abolita l’immunità penale e amministrativa che era stata introdotta da una legge del 2015. «Il Governo – sostiene Van Poelvoorde – continua a dirci di non preoccuparci, che troverà una soluzione, ma finora non c’è niente. Quindi il 6 settembre l’impianto chiuderà. Abbiamo ancora due mesi, spero che il Governo trovi una soluzione, siamo aperti a discutere». L’affondo del manager belga sembra spiazzare il ministero dello Sviluppo guidato dal leader M5S Luigi Di Maio, che a sua volta rinfaccia all’azienda le modalità con cui ha confermato la cassa integrazione ordinaria per quasi 1.400 lavoratori del sito di Taranto dal 1° luglio per 13 settimane. Dura la reazione del ministro: «Non accetto ricatti. Qui la legge è uguale per tutti. Ilva resti aperta, non hanno nulla da temere, le soluzioni si trovano». Ma è anche l’avvio della Cig «tramite comunicato stampa» ad essere fortemente criticato, «un atteggiamento irresponsabile – dice il Mise in una nota – che mina l’equilibrio sociale del territorio di Taranto. Un equilibrio messo già a dura prova in questi decenni e che crea allarmismo e tensione, frutto anche delle dichiarazioni dell’ad Geert Van Poelvoorde, sulla presunta chiusura dello stabilimento».

L’ultimatum dell’azienda giunge a pochi minuti dall’inizio del consiglio dei ministri, dove il tema però non viene sollevato dagli esponenti della Lega che invano nelle settimane scorse avevano  provato a modificare la norma sull’immunità voluta a tutti i costi dai Cinque Stelle per anticipare la sentenza della Corte costituzionale in arrivo ad ottobre. Il leader del Carroccio Matteo Salvini ne parla però a Porta a Porta, «non ci possiamo permettere che Ilva chiuda» dice, smorzando però lo scontro con i 5 Stelle: «Io non avrei abolito l’immunità ma il ministro Di Maio mi assicura che Ilva non rischia, io mi fido». Il Mise incontrerà i vertici dell’azienda il 4 luglio per cercare eventuali spiragli e starebbe valutando la possibilità di richiedere un parere all’Avvocatura dello Stato per tranquillizzare i manager sui margini di operatività alla luce della nuova norma che comunque, ormai, passerà inalterata nel Dl crescita. Su tutto però pende l’incognita della sentenza della Corte costituzionale attesa in autunno (si veda Il Sole 24 Ore del 25 giugno). «Vogliamo trovare una soluzione assieme ad ArcelorMittal – ribadisce lo staff di Di Maio – visto che, come già detto, l’azienda era stata informata già a febbraio 2019 degli sviluppi circa la possibile revoca dell’immunità penale, alla luce della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Gip di Taranto l’8 febbraio scorso sui diversi provvedimenti (tra cui proprio l’immunità) emessi dai Governi precedenti per salvare lo stabilimento siderurgico».

Riassumendo, il decreto crescita è stato approvato in prima lettura, con la fiducia, il 21 giugno e proprio oggi taglierà l’ultimo traguardo, il voto del Senato. Già il 19 giugno, in vista del voto della Camera, da parte di ArcelorMittal Italia, che ha preso gli impianti ex Ilva dall’amministrazione straordinaria, arrivato un preavviso. E anche ieri sera ArcelorMittal Italia ha precisato «che non  sarebbe possibile per nessuna società gestire lo stabilimento di Taranto senza identificare una soluzione costruttiva all’attuale contesto». «L’entrata in vigore del decreto crescita – si evidenzia – non consentirebbe ad alcuna società di gestire l’impianto oltre il 6 settembre, una data che è stata fissata dal governo, a meno che non sia garantita la necessaria tutela ambientale». Quindi ArcelorMittal dichiara di essere «aperta al dialogo con il governo e continua a sperare in una conclusione soddisfacente» che le consenta di proseguire l’investimento.

Il decreto, come detto, è arrivato in Senato invariato nell’articolo contestato, nonostante il pressing della Lega che non è riuscita ad andare oltre un ordine del giorno approvato alla Camera che impegna il governo a verificare l’impatto della nuova norma sugli accordi di cessione ad ArcelorMittal dell’Ilva e sull’occupazione. Anche a fine maggio, dopo l’annuncio da parte del ministro  dell’Ambiente Sergio Costa di avviare l’iter per il riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale, l’ad di ArcelorMittal Italia Matthieu Jehl aveva sottolineato la necessità della certezza delle regole per chi ha messo in cantiere su Taranto investimenti per quasi 4 miliardi. A sua volta lunedì scorso, a Taranto per il tavolo sul contratto istituzionale per la città, Di Maio aveva confermato il principio generale: l’immunità, che non è nel contratto – le sue parole – viene abolita dal 6 settembre e ArcelorMittal non deve temere nulla se starà ai patti e realizzerà i progetti. «Non voglio fare la guerra ad ArcelorMittal – aveva aggiunto -, né a loro si possono imputare le responsabilità del passato».

Carmine Fotina
Domenico Palmiotti
Fonte: Il Sole 24Ore

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Di Maio ad Arcelor: «Rispettate gli accordi»

EX ILVA DI TARANTO

Di Maio ad Arcelor: «Rispettate gli accordi»

I sindacati respingono la richiesta della Cassa integrazione ordinaria L’ azienda: ripresa dopo 13 settimane ma non è esclusa la proroga Il dossier ArcelorMittal Italia, l’azienda che ha acquisito l’Ilva dall’amministrazione straordinaria, torna al Mise a meno di un anno dall’accordo sul passaggio. I sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm respingono la richiesta di cassa integrazione ordinaria che l’azienda ha avanzato, dall’1 luglio e per 13 settimane, per 1395 addetti dello stabilimento di Taranto e chiedono al Mise, garante dell’accordo, di convocare un vertice. E il ministro Luigi Di Maio annuncia un tavolo per la prossima settimana: «Sono stufo di aziende che firmano gli accordi e poi non vi tengono fede – ha detto Di Maio -. La prossima settimana ci vedremo, è già fissato un tavolo, devono tenere fede agli accordi» riferendosi anche al caso Whirlpool.

L’Usb va oltre e chiede al Governo “di annullare e revocare l’accordo” per inadempienza del gestore. ArcelorMittal Italia ha detto che la cassa integrazione è temporanea ma il mercato, intanto, è in forte crisi: ci sono già tagli produttivi in Spagna, Polonia, Francia e Germania. L’azienda ritiene possibile una ripresa della domanda dopo le 13 settimane. Tuttavia non esclude la proroga della cassa se dovesse esserci necessità. Ci sarà, si spiega, una “progressiva e temporanea fermata totale o riduzione della marcia in taluni impianti quali la colata continua 5 (Area Primary), il treno nastri 1 e il laminatoio a freddo (Area Finishing) e delle aree funzionali alla marcia degli stessi impianti quali le officine centrali di manutenzione, staff, utilities e logistica”. La cassa integrazione riguarderà 564 addetti dell’Area Primary, 707 dell’Area Finishing e 124 dell’Area Others. Per l’azienda, «le cause che inducono alla richiesta di intervento dell’ammortizzatore sono riconducibili al progressivo deteriorarsi degli indicatori del mercato manifatturiero, circostanza che ha determinato negli operatori economici scelte di investimento inferiori ai livelli medi attesi, con conseguente calo degli ordini dei beni prodotti dall’unita produttiva di Taranto in misura eccedente le ordinarie oscillazioni congiunturali». Per ArcelorMittal, «l’attività di impresa nel settore dell’acciaio è allo stato fortemente influenzata da una situazione economica globale stagnante».

Fim, Fiom e Uilm contestano però all’azienda l’improvviso cambio di scenario in un mese. Il 6 maggio, affermano i sindacalisti, pur annunciando i tagli in Europa, l’ad Matthieu Jehl disse che a Taranto non ci sarebbero stati contraccolpi occupazionali. Solo un riposizionamento dal 2019 al 2020 dell’obiettivo 6 milioni di tonnellate di produzione. Il 5 giugno, invece, proseguono i  sindacalisti, ArcelorMittal annuncia la cassa ordinaria a zero ore a Taranto per 1395 lavoratori (numero massimo di addetti per giornata di lavoro), i quali si aggiungono ai 1.600 di Ilva in  amministrazione straordinaria che da novembre sono già in cassa straordinaria sempre a zero ore. In totale, quindi, si va verso 3.200 persone sospese dal lavoro. «Procedura irrituale, con l’annuncio a poche ore dal nostro incontro, ma soprattutto non ci convince il cambio radicale nell’impostazione di ArcelorMittal nel giro di un mese» afferma Antonio Talò, segretario Uilm. «Non
ci sia nessun rallentamento degli investimenti ambientali e industriali» chiede Biagio Prisciano, segretario Fim Cisl, per il quale i sindacati «non possono accettare la cassa integrazione con una semplice adesione al documento aziendale senza prima capire che cosa sta succedendo e cosa si rischia a Taranto». La Fiom Cgil, con Francesco Brigati, vede nell’avvio della cassa un “segnale” dell’azienda al Governo che ha avviato il riesame dell’Aia puntando a prescrizioni ambientali più rigide. «Non vorremmo – dice Brigati – che si usasse il ricorso alla cassa come mezzo di pressione perché è chiaro che tra immunità penale ed Aia lo scenario normativo per ArcelorMittal sta cambiando». «Ma noi siamo disponibilissimi a reincontrare i sindacati ed entrare nel merito – spiegano
fonti aziendali -. In ogni caso, la nostra volontà di investire a Taranto 2,4 miliardi tra parte ambientale e industriale non è assolutamente in discussione». Il riesame dell’Aia avviato dal ministro Sergio Costa accoglie intanto una richiesta del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ed è motivato con ragioni di carattere sanitario e di tutela della salute pubblica. A tal proposito l’Istituto Superiore di Sanità ha reso noto l’aggiornamento dello studio “Sentieri” ed emerge che in un periodo di 14 anni, dal 2002 al 2015, sono stati osservati 600 nati con malformazioni congenite su 25.853 nati da donne residenti a Taranto e Statte. Il tasso di malformazioni risulta superiore del 9 per cento rispetto ai dati attesi attesi sulla base del tasso regionale. In sostanza, 50 casi in eccesso, una media di 3-4 casi in più ogni anno. Gli eccessi ritenuti staticamente significativi sono emersi per le anomalie del sistema nervoso e degli arti, e, ai limiti della significatività statistica, per quelle del sistema urinario. Infine, l’aggiornamento dello studio dice che a Taranto si muore di più, prevalentemente per tumore al polmone, mesotelioma e malattie respiratorie, e ci si ammala di più di tumore.

Domenico Palmiotti
Fonte: Il Sole 24Ore

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Acciaio, Duferco investe 150 milioni per un nuovo laminatoio a Brescia

Acciaio, Duferco investe 150 milioni per un nuovo laminatoio a Brescia

L’impianto in funzione nel 2022 con la creazione di 150 nuovi posti di lavoro Lo stabilimento permetterà la verticalizzazione ottimale dell’acciaio di San Zeno

Duferco e il suo partner americano Nucor rilanciano con forza sullo stabilimento siderurgico di San Zeno Naviglio, in provincia di Brescia, l’hub principale del player siderugico che controllano attraverso la joint venture paritetica Duferdofin-Nucor e che ora si prepara a beneficiare di un investimento da 150 milioni di euro per realizzare un laminatoio per travi; si completa così la verticalizzazione produttiva della fabbrica, che fino a oggi produceva billette da laminare per gli altri siti del gruppo, dislocati a Giammoro (Messina), Pallanzeno (Verbania) e San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo. La decisione è stata annunciata ieri dal board della stessa Duferdofin-Nucor, riunito a Charlotte, in North Carolina. Si tratta – si legge in una nota della società – del più importante investimento di una joint venture italo americana degli ultimi anni, e dimostra che «l’Italia, su progetti industrialmente validi è ancora capace di attrarre
investimenti esteri».
L’iter dell’investimento è stato appena avviato e si prevede che l’impianto possa entrare in funzione per la fine del 2022, con la creazione di 150 nuovi posti di lavoro a San Zeno. «Si tratta del coronamento di un sogno – spiega il presidente di Duferdofin-Nucor, Antonio Gozzi -, e il risultato di una lunga attività di miglioramento continuo. Il nostro obiettivo è rendere questa realtà sempre più eccellente, profittevole e sostenibile nell’interesse di tutti gli stakeholder». La scelta del partner americano per certi versi confligge con la dottrina Trump. «Per un colosso da circa 3 miliardi di dollari di risultato netto come Nucor – rileva Gozzi – questo investimento è forse poco, ma la decisione di dare fiducia dimostra la validità di questo progetto, che modifica i fondamentali di Duferdofin-Nucor, a lungo priva di una verticalizzazione: è stato faticoso tenerla in linea di galleggiamento fino a oggi, ma le difficoltà ci hanno spinto a lavorare per trasformarla in una realtà snella ed efficiente. Abbiamo chiuso l’ultimo esercizio, al 30 settembre, con un risultato netto di 3 milioni ed un ebitda di 29: sono risultati non strabilianti, vogliamo invece diventare un’azienda in grado di fare grandi utili nei cicli positivi e di contenere le perdite negli scenari avversi».

Il nuovo impianto, nelle intenzioni degli azionisti, permetterà la verticalizzazione ottimale dell’acciaio oggi già prodotto a San Zeno, grazie a una capacità aggiuntiva di circa 650mila tonnellate. «Sarà un treno moderno, best-cost producer in Europa. Super-automatizzato e a basso impatto ambientale che ci permetterà di essere più aggressivi sui mercati europei», spiega Gozzi. A valle del nuovo investimento, l’intero sistema produttivo Duferdofin-Nucor raggiungerà la quota di un milione di tonnellate di prodotti laminati. Le specializzazioni produttive degli altri siti italiani della joint venture saranno ridisegnate: Pallanzeno, in particolare, si focalizzerà sui profili speciali, mentre Giammoro (alimentato sia da semilavorati della casa madre sia da blumi
importati dalla Russia) rafforzerà grazie alla sua localizzazione il suo ruolo sui mercati geografici del Mediterraneo.
Più difficile, invece, alla luce di questo investimento, interpretare il ruolo del laminatoio di Nave, rilevato l’anno scorso da una procedura concorsuale, con l’obiettivo principale di dare una tutela sociale ai circa 140 addetti (circa la metà è già stata riassorbita a San Zeno) rimasti coinvolti dalle conseguenze delle difficoltà della gestione precedente.
Matteo Meneghello
Fonte: Il Sole 24 Ore

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