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Ex Ilva, il Mise rilancia l’ipotesi di decarbonizzare Taranto

Dare corso all’opzione di chiudere l’area a caldo per puntare sull’idrogeno

«Credo che sia il momento in cui certe cose si possono fare e si devono fare». Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, apre alla svolta green del siderurgico di Taranto (ora nelle mani di ArcelorMittal) e sostiene, sia pure in un percorso di gradualità sostenuto dall’ Unione Europea, la possibilità che dopo Genova e Trieste, anche l’ex Ilva chiuda l’area a caldo per riconvertirsi all’idrogeno. Subito a favore il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci: «Parole coraggiose e nette sul futuro e di una filiera siderurgica completamente verde». Ma i sindacati frenano il ministro. Fim Cisl e Fiom Cgil invitano Patuanelli a riconvocare subito il tavolo al Mise sulla crisi ArcelorMittal, visto che l’ultimo confronto è avvenuto il 9 giugno e nel frattempo sta andando avanti la trattativa Governo-azienda sull’ingresso dello Stato attraverso il coinvestimento affidato ad Invitalia, società Mef. La richiesta di un accordo di programma che superi l’area a caldo, ristrutturi la produzione a Taranto e tuteli il personale che inevitabilmente andrà in esubero (ora sono 8.200 gli occupati diretti a Taranto, di cui circa 3mila in cassa integrazione) è anche la richiesta sulla quale insistono Comuni dell’area di crisi ambientale, Camera di Commercio e Provincia di Taranto. «Ho ancora negli occhi – dice Patuanelli riferendosi a quanto accaduto il 4 luglio – le immagini della polvere rossa che si è alzata dallo stabilimento di Taranto che in questo momento, peraltro, produce pochissimo e dà poco lavoro. Lo Stato è giusto che accompagni questo momento di transizione. Dobbiamo convocare presto, e lo faremo, un tavolo per la siderurgia in Italia». «Riteniamo di poter fare un percorso, che non è immediato ma ha un arco temporale di qualche anno, per tutta la decarbonizzazione dell’area di Taranto per dare una prospettiva diversa ai cittadini anche sul piano occupazionale – aggiunge il ministro –. Credo che in prospettiva Taranto possa diventare l’hub dell’idrogeno del nostro Paese. Stiamo lavorando per questo in totale sintonia con il commissario Timmermans, con cui probabilmente faremo un incontro nei prossimi giorni». In una dichiarazione congiunta, Roberto Benaglia, neo segretario generale Fim Cisl, e Valerio D’Alò, segretario nazionale responsabile della siderurgia, dicono: «Siamo sempre stati favorevoli agli investimenti tecnologici che rispettino l’ambiente ma sempre tenendone in considerazione l’impatto occupazionale ». «Sarebbe rischioso parlare di “chiusure” senza un reale piano di sostegno ai lavoratori che non sia solo fatto da cassa integrazione» aggiungono. E la Fiom Cgil con Gianni Venturi afferma: «L’idrogeno non è nella disponibilità e nei tempi dichiarati dal ministro. Un conto sono gli studi di fattibilità, la progettazione, la sperimentazione, altro è la gestione di orizzonti molto più concreti».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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Dalla colata al bullone, la filiera dell’acciaio alleata nella ricerca

POLITECNICO DI MILANO
Dalla colata al bullone, la filiera dell’acciaio alleata nella ricerca

Quattro aziende uniscono le risorse per il laboratorio al via nel polo di Lecco
Luca Orlando

C’è chi produce la materia prima, l’acciaio. Chi le macchine per lavorarlo e trasformarlo. Altri ancora che arrivano al prodotto finito. Nessuna concorrenza diretta, insomma, al contrario un interesse collettivo nell’altrui competitività. È il ragionamento di base che ha portato quattro aziende lombarde a convergere nel progetto del Politecnico di Milano, che all’interno del proprio polo di Lecco crea un centro di ricerca congiunto nella trasformazione del metallo. Oltre all’ateneo, a partecipare alla partnership sono Agrati (sistemi di serraggio), Growermetal (rondelle di sicurezza), Mario Frigerio S.p.A. (macchinari, parte di Mfl group) e O.R.I. Martin Acciaieria e Ferriera di Brescia, aziende che complessivamente impegnano nel piano triennale 1,2 milioni di euro. «È un caso interessante di progetto di filiera – spiega il responsabile scientifico Marco Tarabini – in grado di coinvolgere aziende che prima d’ora mai si erano parlate tra di loro in relazione a questi temi. Ragionandoci, si è capito che esistono tematiche precompetitive analoghe o comunque complementari. Ed è il motivo per cui queste imprese hanno accettato la sfida, lavorando sulla deformazione del filo a freddo, uno di processi chiave per la manifattura lecchese».

Il Joint Research Center “Matt” (acronimo di Metal and Transformation Technologies) si avvarrà di 6-8 ricercatori full-time e avvierà inizialmente la ricerca su nuovi approcci alla qualità di filiera, su materiali innovativi e sull’analisi dei big data in contesti tecnologicamente maturi. «Un aspetto interessante – aggiunge Tarabini – è quello dell’utilizzo dei dati, spesso presenti in più fasi del processo ma quasi mai sfruttati nella loro piena potenzialità. Lavoreremo sui processi ma anche sui prodotti, studiando ad esempio acciai speciali per utilizzi specifici». Altro aspetto innovativo del progetto riguarda la sede del Joint Research Center, che sarà nell’ex impianto Mario Frigerio a Lecco. Sito che dopo i lavori di ristrutturazione ospiterà infrastrutture di ricerca applicata per poter effettuare sperimentazioni in condizioni di reale operatività. Ciascuna delle quattro aziende coinvolte investe nel progetto 100mila euro all’anno, con un primo orizzonte triennale supportato da queste motivazioni. «L’open innovation – spiega Lucia Frigerio, Owner & Executive Vice-President di MFL Group – è un approccio strategico e culturale all’innovazione che spinge la competitività».

«L’automotive – aggiunge il responsabile ricerca di Ori Martin Maurizio Zanforlin – è un mercato ormai maturo e questo impone un impegno ancora maggiore nella R&S: la cooperazione consente di individuare e sviluppare soluzioni innovative». «Ci aspettiamo che la condivisione di competenze – commenta l’ad di Growermetal Paolo Cattaneo – porti alla creazione di know-how, nuovo valore e una cultura aziendale volta all’innovazione». «Rivolgersi al Politecnico di Milano per costruire questo percorso è stato naturale – aggiunge Lorenzo Zaniboni, Group Operation Director di Agrati -: da un lato per l’innegabile competenza e le professionalità presenti in un ateneo di livello internazionale, dall’altro per la sua capacità di attrarre talenti»

Luca Orlando
Fonte: IL SOle 24 Ore

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Acciaio, la crisi colpisce Nucor: «Maxi svalutazione dell’Italia»

SIDERURGIA

Acciaio, la crisi colpisce Nucor: «Maxi svalutazione dell’Italia»

Gozzi: i soci Usa non hanno comunicato di volere uscire dall’alleanza nella Penisola
Duferco conferma investimenti per 180 milioni nel nuovo laminatorio

MILANO

Tempi duri per le grandi corporation dell’acciaio. La crisi del settore sta costringendo molte multinazionali a rivedere i piani per salvaguardare i bilanci. In molti casi queste decisioni toccano l’Italia. È successo per ArcelorMittal, leader globale del settore, su Taranto. La stessa cosa sta accadendo per ThyssenKrupp con Terni, mentre la russa Evraz ha ceduto i suoi asset al gruppo Marcegaglia a inizio anno. Ora anche la multinazionale americana Nucor, che a San Zeno (Bs) controlla il 50% di una joint venture con Duferco, rivede il valore del suo investimento in Italia. Nel primo trimestre dell’anno l’azienda ha registrato un utile di 20,3 milioni di dollari (1,371 miliardi lungo tutto il 2019), considerando perdite su asset di 287,8 milioni, relative soprattutto a svalutazioni nell’investimento italiano per circa 250 milioni; il secondo trimestre dovrebbe evidenziare perdite ma Nucor, che conferma la sua politica di dividendo nonostante la crisi, si aspetta di tornare in utile nel secondo semestre. Per quanto riguarda San Zeno, «abbiamo rilevato la nostra partecipazione nel 2008 – ha spiegato agli analisti Leon, J Topalian, ceo e presidente di Nucor – , e fin da subito abbiamo dovuto affrontare una drammatica crisi». I soci, ha aggiunto, «hanno reagito, ma nonostante siano stati compiuti passi da gigante, il contesto è diventato solo più impegnativo». E in questa fase post Coronavirus, ha concluso, «ci è diventato chiaro che l’investimento valeva sostanzialmente meno del suo valore contabile nel nostro bilancio». Considerando un valore della partecipazione iscritta per 263 milioni, ai quali si sommano altre poste relative a finanziamenti, con la svalutazione si è ridotta a circa 55 milioni.

Nell’ambiente italiano c’è chi si spinge a interpretare questa scelta come un campanello d’allarme, un segnale di disimpegno da parte degli americani, proprio alla vigilia dell’avvio di un investimento significativo per la società, una spesa di circa 180 milioni per costruire un laminatoio di ultima generazione con 150 nuovi posti di lavoro. Il presidente del gruppo Antonio Gozzi conferma la svalutazione, ma nega eventuali disimpegni. «La partecipazione non è stata azzerata – spiega – ha ancora un valore positivo. Il valore era storicamente elevato, e Nucor ha scelto questo momento storico particolare per adeguare il valore ai bilanci». Per il resto, spiega Gozzi, gli americani «hanno confermato il loro sostegno e appoggio alla jv. È naturale – aggiunge – che in questa fase gli operatori stranieri scelgano di concentrarsi sugli affari di casa propria, ma nessuno ci ha comunicato che vuole uscire. Anzi, il socio ha recentemente manifestato apprezzamento per la nostra efficienza, con il sito che proprio in pieno Covid pochi giorni fa ha toccato il record di 36 colate in un giorno. C’è consapevolezza poi che il settore, quello delle travi per edilizia, può sfruttare il volano degli interventi infrastrutturali favoriti dal recovery plan europeo». Il presidente non nasconde però qualche preoccupazione, legata più al sostegno sui nuovi investimenti che alla tenuta della jv. Questo mese è prevista una riunione del board e se ne discuterà. «La corporation ha una politica di dividendo da seguire – prosegue Gozzi -, staremo a vedere. Noi,c on il gruppo Duferco che si avvia a chiudere una semestrale con un utile netto di 70 milioni, confermiamo il nostro impegno».

Matteo Meneghello
Fonte: Il Sole 24 Ore

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Piombino, vertice al Mise Sale la tensione sindacale

OGGI L’INCONTRO CON JSW

Piombino, vertice al Mise Sale la tensione sindacale

Fim, Fiom e Uilm chiedono conferma degli investimenti e una convocazione al Mise

I sindacati chiedono un posto al tavolo tra il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli e Jsw Steel Italy. A Piombino sale la preoccupazione e la tensione, al punto che la vicenda esce dal territorio e ritorna sotto l’ala nazionale dei sindacati metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm. Qualche numero per inquadrare la vicenda: Piombino è una città che ha circa 34mila abitanti, Jsw ha circa 1.800 addetti diretti che con l’indotto arrivano a 5mila. Una fetta importante dell’economia e del lavoro della città toscana ruota attorno all’acciaieria le cui sorti sono molto travagliate. Il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, non ci sta a vederla decadere, dopotutto è il secondo polo siderurgico. Per questo nei giorni scorsi ha anche scritto al ministro Patuanelli chiedendo di favorire l’ingresso della Cassa Depositi e Prestiti nel capitale sociale di Jsw Steel Italy.

Al governo si rivolgono adesso anche i sindacati che oggi chiedono di partecipare all’incontro al Mise. «Sulla vertenza JSW di Piombino riteniamo l’atteggiamento del Governo poco produttivo e inopportuno. Sappiamo di un incontro tra i vertici aziendali e il ministro Patuanelli sulle sorti della JSW di Piombino azienda storica della città e importante polo siderurgico per tutto il Paese. Il giorno 14 maggio 2020 le segreterie nazionali di Fim, Fiom, Uilm, avevano inviato una richiesta di incontro urgente all’attenzione del Ministro Patuanelli». La risposta? «Purtroppo ad oggi, alla vigilia dell’incontro con la direzione aziendale, quella richiesta è rimasta incomprensibilmente inascoltata», dicono il coordinatore nazionale siderurgia Fim Cisl Gianfranco Micchetti e Paolo Cappelli, delegato storico del sindacato alle acciaierie di Piombino. Qualcosa però i sindacati si aspettano. Innanzitutto che nell’incontro vengano confermati gli impegni aziendali annunciati nell’incontro del 18 febbraio scorso sugli investimenti programmati. E poi l’impegno del governo sull’accordo di programma per mettere il sito in sicurezza. Cosi come si aspettano la convocazione a margine dell’incontro di oggi. «La città di Piombino e i suoi lavoratori – dicono i sindacalisti – meritano rispetto e attenzione alla stregua di tutte le altre città e lavoratori che ospitano impianti siderurgici considerati beni strategici per l’intero Paese».

C.Cas.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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